I miei primi passi nell'informatica

Mi chiamo Michele Angeletti e mi occupo di informatica da quasi 30 anni.
Attualmente lavoro come freelance nel campo dell'Information Technology e della grafica.
Il mio primo computer
Ho iniziato la mia vita informatica con un Olivetti M 24 nel lontano 1985. L'ho trovato in ufficio di mio padre, dove mi recavo per studiare Architettura. Era una macchina bellissima! Robusta, elegante, mi affascinò immediatamente, e capii subito che quell'incontro avrebbe cambiato la mia vita.
L'M24 aveva un processore Intel 8086, 256 kb di RAM ed un Hard Disk da 10 Mb. La scheda video era una Plantronics monocromatica capace di gestire una grafica per l'epoca spaventosa: 640 x 400 pixel. Il monitor era un 12'' a fosfori verdi, il mouse non era ancora stato inventato...
Il sistema operativo era il Microsoft DOS 2.1, del quale conservo ancora gelosamente i dischetti.
Iniziai ad usarlo dapprima come macchina da scrivere per prendere appunti durante i miei studi. Usavo Framework, della Ashton Tate, una suite Office all'epoca veramente spettacolare.
Allora era difficile reperire programmi in lingua italiana, ma la cosa non rappresentava un problema. La voglia di imparare mi fece subito imparare i termini informatici di base necessari a capire quanto più possibile.
Framework costituì la mia prima (modesta) fonte di reddito: i miei riassunti di storia dell'architettura si presentavano così bene su stampa che riuscivo a venderli facilmente ai miei compagni di corso...
Ben presto feci un secondo incontro che mi lasciò folgorato: Autocad. Avvenne una sera, per caso. Il marito di mia cugina mi dette dei floppy disk da 5 pollici ed un quarto, e mi disse: guarda un po' se ti fa comodo.
Il giorno dopo non dormii. Installai il programma sul mio poderoso hard disk da 10 Mb (non è uno scherzo, all'epoca l'hard disk era un lusso, e 10 Mb erano tanti!!!) e dopo un forcing brutale sulla tastiera riuscii ad avviare Autocad. Era la versione 2.1 in lingua inglese. Preistoria, sì, ma dentro conteneva tutto quello che serviva per stupirsi e per accendere la miccia.
Non avevo istruzioni, non esisteva Internet, ma c'erano le BBS e tramite amici dell'università riuscii a trovare delle dritte, abbastanza per disegnare un quadrato di lato 2 cm e per stamparlo su un foglio di carta con dimensione di 2 cm.
Apriti cielo! L'emozione mi fece tremare. Corsi da mio padre, architetto, per mostrargli la mia sensazionale scoperta. Il suo commento fu interessato, ma razionalmente paterno. Mi suggerì di concentrarmi sullo studio delle materie universitarie senza farmi distrarre da altri interessi...
Triste ma sicuro di me, entrai in un periodo di estrema gratificazione: all'università andavo bene, ma mi rendevo conto che sottraevo sempre più tempo allo studio per dedicarmi al computer.
La memoria RAM del mio sistema cominciò ad essere insufficiente: decisi quindi di espandere il mio M24 al massimo delle sue capacità: 640 kb. Andai dal mio negoziante di fiducia e comprai 24 chip di RAM da 16 kb, per un totale di 384 kb. Me li consegnò in un tubo trasparente di plastica, e, tornato in ufficio, li installai delicatamente sulla scheda di memoria, uno ad uno, facendo attenzione a non piegare i piedini.
Il mio primo mouse
Dopo poco arrivò il primo mouse, della Genius, un attrezzo brutto e poco ergonomico, ma fondamentale per usare programmi CAD.
Aveva interfaccia RS232 ed era praticamente inutile con il DOS, ma apriva nuove modalità di utilizzo dei programmi di grafica che andavano esplorate!
All'epoca i negozi di informatica spuntavano come funghi: era il business del momento e tutti si improvvisarono per trarne profitto. Falsi profeti e ciarlatani di ogni tipo vendevano le loro mercanzie senza neanche sapere di cosa si trattasse. Per fortuna le mie competenze, in costante arricchimento, mi permettevano di distinguere tra gli inetti ed i competenti, permettendomi di stringere rapporti che mi aiutavano nelle difficili scelte che un mondo così nuovo mi metteva di fronte.
In questo periodo iniziai a scoprire il mondo dei videogiochi, un mondo in enorme espansione, che vedeva già presenti sul mercato le software house che avrebbero creato giochi di innegabile pregio: Electronic Arts, Microsoft (Flight Simulator) e ID Software. Il mio rapporto privilegiato con alcuni negozianti mi permise di assumere il ruolo di game tester: mi fornivano copie di tutti i nuovi giochi e mi chiedevano di indicare loro quali avrebbero dovuto ordinare per la vendita. Il compenso era uno: tutte le copie che mi venivano fornite per le prove restavano a me... Che scorpacciate ludiche!
Il mio secondo PC
Arrivò nel 1987 il mio secondo PC, grazie all'aiuto economico di mio padre che decise di acquistarne uno nuovo per l'ufficio. Era un IBM PS/2 Model 30, una macchina finalmente veloce basata sul processore Intel 80286 ed equipaggiata con 1 Mb di RAM, hard disk da 30 Mb, scheda grafica VGA e monitor a colori. Una freccia che mi permise di accelerare le mie scoperte.
Nel frattempo cresceva la mia capacità di utilizzo di Autocad, e, come logica conseguenza, mi trovai a sperimentare un programma di rendering all'epoca eccezionale: Big D. Offriva la possibilità di importare files da Autocad e di effettuare raytracing con livelli qualitativamente eccellenti.
Il coprocessore matematico Intel 80287
Ma aveva bisogno, per funzionare, del coprocessore matematico, una seconda CPU dedicata ai calcoli in virgola mobile, integrata nei processori dalla famiglia 80486 DX in poi.
Non osando chiedere a mio padre i soldi, misi da parte le paghette settimanali di due mesi e, dopo aver affrontato una delle peggiori carestie della mia vita (giravo in Vespa solo il sabato per risparmiare le spese della miscela...) riuscii ad acquistare ed installare il  tanto sospirato coprocessore matematico.
Big D poteva finalmente funzionare, e mi stupì con effetti speciali. La grafica 3D era entrata nella mia vita prepotentemente.
Le mie giornate si complicavano sempre di più: da un lato la mia fame di sapere mi consumava davanti alla tastiera, dall'altra le scadenze degli esami universitari mi impegnavano fino a notte fonda. Cominciai quindi a mettere in pratica la mia capacità informatica nel lavoro universitario, ma c'era un problema, non piccolo. I professori della facoltà di Architettura, per lo più incompetenti nel campo informatico, vietavano l'uso del computer per la redazione delle tavole di disegno, sostenendo che la manualità era parte fondamentale del processo produttivo di un architetto.
Passai l'esame di geometria descrittiva con un bel 30, per imparare e dimostrare a me stesso che sapevo disegnare a mano senza l'aiuto del computer, poi cambiai tutto.
Me ne fregai altamente, escogitando una serie di trucchi per "nascondere" la mia metodologia di lavoro. All'epoca i plotter erano a penne (la tecnologia a getto d'inchiostro era ancora allo stato embrionale), ed i service di stampa cominciavano ad essere diffusi e, di conseguenza, più economici. I miei disegni venivano fatti al computer, ma inserivo sempre delle linee sbagliate, dei piccoli errori e, soprattutto, dei punti al centro di ogni circonferenza e di ogni arco.
Plottata la tavola su lucido, la sistemavo sul tecnigrafo e provvedevo a bucare con la punta del compasso tutti i punti di centro di archi e circonferenze, e a rimuovere, grattandoli con la lametta, tutti gli errori volutamente inseriti. In questo modo le tavole erano sì precise, ma anche palesemente frutto di un lavoro manuale.
Il 30 con lode a Composizione Architettonica II con la prof.ssa Calzolaretti mi rese estremamente orgoglioso: avevo superato l'esame in tutti i sensi!


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